Intimo Collettivo

 

 INTIMO/COLLETTIVO 

a cura di Elisabetta Rota

Palazzo Cuttica Alessandria

2009

testo:

RADIOGRAFIA DI UN SOGNO

 

Il periodo a cavallo tra gli anni '60 e '70 ha rappresentato per l'arte italiana un momento tutto particolare, irripetibile e fondativo contemporaneamente, un momento che ha visto accendersi, letteralmente, un dibattito e un confronto vivo, dove gli artisti stessi hanno agito in primis come creatori e teorici. Abituati allo strapotere della critica onnipotente degli anni '80 e alla solitudine autoreferenziale dell'artista, piuttosto sterile a mio parere, del presente, ci riesce difficile immaginare un passato prossimo di collettivi, di gruppi spontanei e autogestiti, di contestazioni epocali al sistema e al mercato, di liti  anche furiose ma costruttive, dove il fare arte non era sinonimo di chiusura ma vitalità creativa incidente e interconnessa col reale vissuto. In quest'ottica il personale e il politico, l'intimo e il collettivo si intrecciavano inestricabilmente, nelle assemblee come negli atelier, cambiare l'uomo era cambiare la società e l'arte e la vita diventavano un unicum, un bisogno diffuso e urgente: ogni emozione, istante, tensione personale poteva amplificarsi in un eco collettiva, mentre gli eventi del mondo segnavano in maniere indelebile il sentire soggettivo, finalmente l'arte voleva non essere più sovrastruttura bensì protagonista della dialettica storica.

Questa mostra vuole gettare un piccolo ma esaustivo sguardo su alcuni tasselli nati da questo clima culturale, una sorta di raccolta di flash cognitivi atti a stimolare curiosità, memoria e, soprattutto, riflessione attraverso la visone di opere di autori apparentemente eterogenei per tecniche e formazione, ma accomunati da un sottile eppur solido filo rosso che va ben oltre il semplice utilizzo dell'introspezione per definire la propria poetica. Il primo trait d'union, il più evidente e distintivo, è la concettualità, prescindendo dal fatto che, per la mia formazione di stampo filosofico, ho sempre pensato che la vera arte debba avere in ogni caso un nucleo di concettualità, in senso lato ed esteso naturalmente, debba in pratica esprimere e stimolare una riflessione sui rapporti tra l’artista e l’esserci e l’esistere, sia in ambito fisico ed economico/storico, sia in ambito psicologico e/o metafisico/ontologico, è indiscutibile che la seconda stagione del Concettuale ha informato di sé e caratterizzato tutta l'arte del periodo in oggetto, intrecciandosi naturalmente con le altre definizioni e correnti (Arte Povera, Pop ecc.) che comunque hanno mantenuto saldamente un forte nucleo Concept.. Esemplare in questo senso è l'opera di Mario Merz “Che fare”, dove la domanda epocale, il to rmentone del tempo si potrebbe dire, si coniuga con un recipiente povero e antico e con la tecnologia di un neon che guarda a un futuro incerto e complesso, oggetto polisemantico e ambiguo, ha radici e ali e, parlando di un passato povero con le luci di una metropoli, riverbera la domanda con infinite vibrazioni che rimbalzano ininterrottamente tra oggettivo e soggettivo.

Un contenitore umile è anche il protagonista della sequenza di Gianni Caruso “La luna nel pozzo”, dove un secchio colmo d'acqua sembra imprigionare la luna, il sogno è lì a portata di mano ma in afferrabile, basta allungare la mano e scompare inghiottita dalle increspature per ritornare a splendere quando l'acqua si cheta, la metafora è evidente, piuttosto amara ma non rassegnata, la sconfitta non cancella il desiderio..mai, un'opera decisamente introspettiva, forte ma assolutamente delicata, quasi letteraria.

Molto introspettivo, intimo in maniera poeticamente sofferta, è anche il lavoro di Anna Valeria Borsari, un'artista che ha approfondito le tematiche dell'attraversamento, del percorso, del passaggio (di strade, di vite, di esperienze) nonché della riflessione e delle tracce, un lavoro assolutamente profondo sull'interiorità, sul senso dell'esserci (dasein), sulla presenza e sull'assenza, che svela inaspettati giardini segreti, orti dell'anima privatissimi e collettivi, come “L'orto privato del custode del museo”, affastellato di morti busti di gesso come una dimenticata stanza delle nostre memorie.

La vena più ludica e Pop è rappresentata dal “Cuore del Monferrato” di Aldo Mondino, un collage di cioccolatini coloratissimi a comporre un graspo d'uva, divertito, ironico e ammiccante omaggio a una terra molto amata da parte di un artista ben provvisto di pesante leggerezza, profondo conoscitore di religioni Mondino gioca con l'arte e i colori rutilanti e vivacissimi, eppure il suo gioco è sempre sacro, complesso e ricco di rimandi, come un buon vino rosso che appaga con brio i sensi ma, talora, è stato bevanda iniziatica o sangue di divinità.

Piero Gillardi, universalmente noto per i suoi tappeti/natura, è qui presente  con due “Vestiti”, uno, “Betulle”, è più vicino alle sue tematiche classiche anche se l'aspetto di scudo o corazza dell'installazione provoca non pochi interrogativi sui rapporti tra interno e esterno, uomo, psiche, natura e società, l'altro, “Stato d'animo”, è un'opera emotivamente molto forte con quelle chiazze di sangue che evocano scenari inquietanti di morti violente, un oggetto muto, privo di ogni riferimento palese, ma fortemente politico e caricabile di valenze plurime e attualizzabili a piacere, due lavori forse meno noti dell'artista ma perfettamente attinenti al concept della mostra e ad un altro dei temi chiave del periodo in oggetto: la corporeità e la riscoperta del corpo in tutte le sue potenzialità espressive e sensoriali.

Corpo come protagonista quindi, un aspetto molto sentito e vissuto dalle donne e tra le donne dei collettivi femministi, ma non solo: teatro, gestualità, happening, performance, tutto rimandava ad una riappropriazione gioiosa e/o sofferta e anche un artista freddo e formale come Carlo Maria Mariani non ha rinunciato alla suggestione e nel suo “Polittico” ha scelto di analizzare un corpo femminile scomponendolo, obiettivamente sembra visto con  l'occhio del carnefice, o del padrone, la pennellata è stupenda, la stessa che lo renderà noto al mondo   come anacronista emulo della pittura rinascimentale (mentre la radice rimane profondamente e indiscutibilmente concettuale), ma il risultato è di un bellezza agghiacciante e mortale, anatomia dell'anima o di un amore, citazione o denuncia che sia, l'opera assurge a un valore astratto che trascende qualsiasi valenza figurativa.

Corporeità e intimo, arte e vita, privato e collettivo sono comunque rappresentati al massimo da Marina Abramovic e Ulay, una coppia di artisti che ha esposto sotto i riflettori, in pasto al mondo, tutta la propria storia relazionale, niente di falso o di costruito (reality show style), semplicemente vivere la vita come arte....fino al plateale addio sulla muraglia cinese: qui sono presenti due lavori, “Relazioni nel tempo” che non ha sicuramente bisogno di ulteriori commenti, troppo evidente il gioco dialettico tra legami di coppia e comunicabilità/incomunicabilità e “Imponderabile”, tanto noto e citato, ma, sempre, assolutamente forte nel dimostrare l'imbarazzo, la pruderie, soprattutto la pruderie mista a imbarazzo della borghesia anche illuminata.

Corpo in primo piano e protagonista anche nel film d'artista “Analisi di una memoria” di Gianni Caruso, dove una donna riscopre, tramite il rapporto con una natura, se pur filtrata, artificiale e cartacea, le potenzialità di gioia e liberazione insite nel suo essere sino alla catarsi, sorta di danza menadica e spontanea immortalata da una cinepresa che introduce ad un altro dei grandi temi portati alla ribalta in quegli anni e più fertili di sviluppi futuri: la riappropriazione creativa dei mezzi di riproduzione di massa, cinema, fotografia e il neonato video. Una scelta quasi inevitabile per tre primari motivi: in primo luogo, banalmente e materialisticamente, per  la necessità di documentare azioni, performance e installazioni di materiali deperibili, poi per le alte possibilità di concettualizzazione connesse con il medium stesso e infine per l'aspetto propriamente politico di contro informazione e comunicazione alternativa. In questo ambito rientrano le fotografie psichiatriche di Gianni Berengo Gardin e di Vasco Ascolini, obiettivi aperti su una realtà dimenticata e perduta, massima espressione di un politico che si immerge nel privato più sommerso, annientato, distrutto e di un privato senza più voce che riesce a uscire in urlo straziante di dolore silenzioso, senza queste documentazioni fotografiche cosa ne sarebbe di anni di lavoro e di speranza, ora che tutto sembra tornare indietro, soffocando sotto chili di psicofarmaci, TSO o peggio, ogni scintilla di diversità?.

Formidabili quegli anni ma, soprattutto, fecondi di semi ancora fertili....da coltivare per arricchire il nostro intimo e il nostro collettivo.

Elisabetta Rota

 

 

REGIONE PIEMONTE   CITTA' DI ALESSANDRIA    FONDAZIONE CRT    

L'UOVO DI STRUZZO TORINO

REALE MUTUA ASSICURAZIONI

MAURIZIO BELLUTTI

AGENZIA PRINCIPALE DI SANREMO